UNA CRONOLOGIA ROBOTICA di Alberto Galloni
(tratto da RECORD OF VENUS WARS #1)
Da quasi 30 anni a questa parte, praticamente chiunque si sia cimentato su un saggio e/o articolo sull’argomento “cartoni animati giapponesi”, si è soffermato almeno un po’ a parlare di robot. Io ne approfitto adesso, in occasione della pubblicazione del capolavoro di Yoshikazu Yasuhiko (GUNDAM ORIGINI) che, come molti di voi sapranno, è anche uno degli autori di serie robotiche più importanti. L’idea non è quella di realizzare uno sterile resoconto di 40 anni (e passa) di storia dei giganti d’acciaio, ma di fare chiarezza su alcune tappe fondamentali oscurate da quella che è l’esperienza vissuta in prima persona dai fan italiani a partire da quel famoso 4 Aprile 1978. Anche perché, nonostante dalla fine degli anni 70 a oggi, di articoli, saggi e, addirittura, enciclopedie su quelli che in Italia vengono considerati “figli di Goldrake” ne siano stati scritti a bizzeffe, quanti scrittori/saggisti/giornalisti/fan in Italia hanno affrontato l’argomento con necessaria esperienza e obiettività? La quasi totalità della letteratura prodotta sull’argomento “robot” ruota attorno ai ricordi degli anni 80 ed è infarcita di una immancabile buona dose di nostalgia. Senza contare che, spesso, la visione di un fan italiano passa dagli anni 70 agli anni 90 inoltrati, saltando 15 anni fondamentali per l’evoluzione del genere: Roma non è stata costruita in un giorno, ma neanche Shin Seiki Evangelion.
Partiamo dal mai abbastanza compianto Mitsuteru Yokoyama: Tetsujin 28 Go apparve su carta nel lontano 1956 sulla stessa rivista che pubblicava il famoso Tetsuwan Atom di Osamu Tezuka (meglio noto in occidente col nome di Astroboy). Tetsujin non è molto più di un prototipo di ciò che altri autori elaboreranno negli anni successivi. Per capirci: il robot viene controllato con un radiocomando, non è dotato di armi e il design è tutt’altro che moderno (somiglia a una “caffettiera” con braccia e gambe). Tuttavia Tetsujin 28 Go introdusse il concetto che il robot sarebbe potuto essere un eroe della giustizia o un demone spietato a seconda di come veniva utilizzato, togliendo il primato a Mazinger Z. Sempre la geniale mente di Mitsuteru Yokoyama, nel 1967, partorì Giant Robo, che tutto sommato è una versione più evoluta di Tetsujin 28 Go con una trama più intricata e anche un design più accattivante: il Giant Robo era più grande di Tetsujin e viene sempre comandato dall’esterno ma, nella serie, appaiono anche robot giganti dotati di cabina per i piloti. L’esperienza robotica di Yokoyama non si concluse con Giant Robo, il sensei ha continuato a usare i robot anche nelle sue opere successive, soprattutto Babil Nisei (conosciuto in Italia come Babil Junior) e l’eccezionale e innovativo Mars. Troverete in giro più di un articolo che descrive le opere di Yokoyama come se fossero la “preistoria” dei robot, tuttavia le idee del maestro rappresentano il presente dell’animazione robotica più che il passato.
Il 1972 è quello che viene da più parti indicato come “anno zero” dei robot in animazione. Go Nagai intrappolato nel traffico immagina di scavalcare le altre automobili facendo spuntare le gambe dal suo veicolo: nacque così Mazinger Z. Come già accennato, Mazinger Z non fu il primo colosso meccanico con una cabina per il pilota e non introdusse neanche il dualismo dio/demone come spesso si sente dire in giro, però, a differenza di Giant Robo e Tetsujin, Mazinger Z era armato. Al pari di Yokoyama, Go Nagai ha sempre disegnato manga, tuttavia il suo primo robot venne portato al successo da una serie TV di 92 episodi realizzata da Toei Animation. Peccato che l’idea di Toei fu quella di creare una serie per bambini che ricalcasse in tutto e per tutto i tokusatsu (i telefilm degli eroi mascherati) col robot al posto del supereroe. Fu questo il primo grande passo indietro del genere robotico: la sceneggiatura di Nagai fu semplificata per restare il più possibile dentro i confini di episodi autoconclusivi e il dualismo dio/demone, alla base dell’idea di Nagai, venne brutalmente tagliato fuori. I successivi capitoli della saga dei Mazinger (Great Mazinger e UFO Robot Grendizer) non apportarono sostanziali novità.
Nel 1974, sempre basato su un soggetto di Go Nagai, debuttò Getter Robot, il primo robot componibile della storia dell’animazione. Bisogna aggiungere una cosa importante sulla saga dei Getter: l’eroe affabile che pilota il Getter 1, Ryoma Nagare, e il freddo calcolatore che pilota il Getter 2, Hayato Jin, nel manga originale sono rispettivamente un irascibile karateka dalla forza mostruosa e un terrorista tanto spietato quanto astuto. Getter Robot più di Mazinger Z, rende evidente il divario tra quella che è la “vera” sceneggiatura pensata dagli autori e la sua trasposizione animata infantilizzata.
Nel 1975 comparvero altri mostri sacri oltre Nagai: con Yuusha Reideen entrarono in scena il Sunrise Studio, Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko. Su Yuusha Reideen comparve anche, per la prima volta, l’attacco finale dei robot. Il God Bird Change del Reideen anticipò di un mese lo Shine Spark del Getter Dragon, anch’esso un’arma finale a tutti gli effetti. Forse non tutti lo ricordate, ma i Mazinger e il primo Getter Robot avevano in dotazione diverse armi tutte letali e non era necessario il Breast Fire per distruggere un mostro meccanico del Doctor Hell, poteva bastare un Rocket Punch. Lo Shine Spark e il God Bird Change, invece, furono le prime armi “da fine scontro”, anche se sia su Yuusha Reideen che su Getter Robot G, venivano utilizzate con parsimonia.
Il problema nacque quando nel 1976, da Chodenji Robot Combatler V in poi, l’attacco finale fu inserito nel canovaccio degli episodi: il secondo grande passo indietro dei robot. Da Combatler V in poi arrivarono molti altri robot tutti realizzati con lo stampino, tuttavia, nel 1977, la Nippon Sunrise (il nuovo nome adottato da Sunrise Studio) mostrò al pubblico la prima opera di un genio incompreso: Muteki Chojin Zanbot 3. Probabilmente Yoshiyuki Tomino è sempre stato troppo avanti per il suo tempo e il suo Zanbot 3 fu uno dei flop più clamorosi della storia di Nippon Sunrise. La serie in questione seguiva anch’essa il canovaccio da tokusatsu, ma la scarsa popolarità permise a Tomino di trasformare un classico cartone animato per bambini in qualcosa che andò ben oltre. Nessun altra serie robotica aveva descritto la guerra in maniera così spietata come Zanbot 3, nessuno, prima di Tomino, aveva osato mostrare scene tanto cruente e un finale così tragico in TV. Nel 1978 è ancora Yoshiyuki Tomino il protagonista assoluto della scena con il suo Muteki Kojin Daitarn 3 che ridicolizzò i giganti d’acciaio diventati ormai uno strumento promozionale per vendere i giocattoli. Tomino si sarà divertito molto.
Niente di rilevante fino al 1979, quando apparve sulle TV di tutto il Giappone Kido Senshi Gundam (Mobile Suit Gundam) , il capolavoro di Yoshiyuki Tomino (si, sempre lui), Yoshikazu Yasuhiko e lo staff Sunrise considerato, tuttora, il più importante anime robotica della storia. Basti pensare che la differenza concettuale tra Gundam e i precedenti robot era tale che si rese necessaria la distinzione tra i nuovi “real robot” e i classici “super robot” discendenti diretti di Mazinger Z. L’innovazione principale fu quella di sbarazzarsi del canovaccio del Combatler V: dimenticate l’eroe protagonista e la classica divisione tra buoni e cattivi. I robot di Kido Senshi Gundam furono presentati come mezzi di guerra avanzati, una specie di evoluzione dei carri armati, e come tema portante della serie fu scelta una tragica e realistica guerra tra esseri umani. Nonostante tutto, il Gundam RX-78 II di Amuro Rei era de facto invincibile quasi quanto Mazinger, niente più che un prototipo di “real robot” (l’idea c’era, la realizzazione ancora no). All’epoca della sua prima messa in onda, neanche Kido Senshi Gundam fu apprezzato dal pubblico giapponese abituato a tutt’altro, tanto che la serie fu accorciata di ben 9 episodi e chiusa con la puntata 43. Il successo arrivò solo con le repliche successive. Per l’epoca si trattava di una serie troppo complessa per essere compresa da spettatori giovanissimi, ma nel frattempo, i bambini che guardavano Mazinger Z in TV erano cresciuti, hanno continuato a guardare anime e scoprirono Gundam proprio quando Bandai acquisì la licenza per il merchandising della serie. Il flop iniziale si trasformò in un successo tale da rivoluzionare la storia degli anime.
Prima di passare in rassegna i “real robot” figli di Gundam, c’è un’altra serie fondamentale su cui dobbiamo soffermarci un po’. Nel maggio del 1980, Tomino torna sui “super robot” con un progetto sponsorizzato da una famosa ditta di giocattoli che aveva pronti dei camioncini che si agganciavano tra loro. Immaginate la felicità di Tomino quando si trovò costretto a usare questi giocattoli nella sua nuova sceneggiatura! Eppure Kyojin Densetsu Ideon sta ai “super robot” come Kido Senshi Gundam sta ai “real robot”. Ideon racconta lo scontro tra un gruppo di coloni terrestri in fuga dal pianeta Solo e l’armata principale dei Buff Clan, una razza aliena. L’obiettivo degli alieni è quello di impadronirsi del leggendario Ideon che i terrestri trovano sepolto sul pianeta Solo, mentre i terrestri in fuga, per sopravvivere, sono costretti a sfruttare il gigantesco e misterioso Ideon per difendersi. L’incomunicabilità tra le due razze costituisce il fulcro della vicenda e l’impossibilità di trovare un accordo pacifico guiderà i protagonisti verso lo scontro decisivo che si concluderà nel peggior modo possibile. L’Ideon era dotato di coscienza propria, ruggiva, andava in berserk, distruggeva pianeti come se niente fosse, tutte cose che verranno riutilizzate dalle serie successive. Tuttavia, pure il Kyojin Densetsu Ideon non ebbe il successo sperato e venne dapprima soppresso dai palinsesti TV all’episodio 39 e poi completato con due film per le sale cinematografiche (il primo è un riassunto della serie TV, il secondo film contiene il vero finale riscritto).
Dal 1980 in poi, “super robot” e “real robot” percorreranno due strade differenti, ma di questo parleremo la prossima volta.
(continua)